Criptovalute e inquinamento: ecco qual è l’impatto ambientale del Bitcoin

Può sembrare strano, ma minare le criptovalute, pur trattandosi di moneta interamente digitale, ha dei costi ambientali piuttosto elevati.
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Un recente studio dell’Università del New Mexico ha esaminato la quantità di inquinamento prodotto dalla creazione di criptovalute fra il 2016 e il 2021. I risultati sono sorprendenti: l’emissione prodotta è paragonabile a quella dell’allevamento intensivo di carne bovina.

I criteri per la classificazione dei danni ambientali

Il gruppo di ricerca, guidato da Benjamin Jones, ha confrontato l’inquinamento prodotto dall’estrazione dei Bitcoin, la più celebre fra le criptovalute, con quello legato alla produzione di altre tipologie di beni, noti per avere un impatto ambientale molto marcato.

Lo studio è stato realizzato mediante tre criteri di classificazione: il valore della valuta in proporzione al costo economico dei danni ambientali per produrla, le conseguenze negative sul clima nel corso del tempo, e i danni prodotti per ogni singola moneta estratta.

I ricercatori hanno stimato che durante il mese di maggio 2020, l’estrazione di una singola moneta di Bitcoin ha avuto un costo superiore del 150% a quello della moneta stessa, se vi viene aggiunto il danno economico relativo all’impatto ambientale.

I valori medi sono piuttosto chiari e non lasciano di certo allegri, perché i costi ambientali del mining rappresentano il 35% del loro valore di mercato complessivo durante il periodo di analisi (2016-2021), con un picco pari all’82% nel corso del 2020.

Lo studio, pubblicato poi sulla rivista Scientific Reports, ha messo in luce degli interessanti parallelismi, rivelando che benché l’estrazione di criptovalute abbia un impatto ambientale inferiore rispetto a quella del gas naturale e della benzina, supera l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi, i quali si fermano al 33%.

Bitcoin e inquinamento: le cause del fenomeno

Per produrre nuovi Bitcoin, è richiesto l’uso di computer molto complessi, che hanno il compito di realizzare calcoli molto lunghi e sempre più difficili man mano che il numero dei Bitcoin in circolazione aumenta.

Questo sistema di produzione richiede moltissima energia, tanto che nel solo 2020, sono stati necessari ben 74,5 Terawatt ora di elettricità, ovvero più di quanto consuma nell’arco di un anno intero una piccola nazione come l’Austria.

Tutta colpa del “mining proof of work”, il processo informatico mediante il quale vengono verificate le informazioni di ogni singola moneta estratta, e che, per la sua complessità, ha bisogno di ingenti quantitativi di elettricità.

La ricerca ha quindi evidenziato un problema molto urgente, sottolineando che la produzione di Bitcoin e criptovalute in generale non è affatto eco sostenibile. Saranno quindi necessarie regolamentazioni sulla produzione, che possano ridurne l’impatto. Qualcosa si sta già muovendo, attraverso iniziative intelligenti, come quella dei miner che utilizzano il gas di recupero delle attività estrattive per la produzione, gas che se non utilizzato sarebbe finito in atmosfera.

Si tratta di una strategia che ha permesso di ribaltare in negativo il bilancio degli effetti dannosi delle criptovalute sull’ambiente.

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